La generazione de I Quindici

Tommaso Labranca

  Tratto da Andy Warhol era un coatto (Castelvecchi, 2005)

C’è stata una generazione che si è formata sul Mondo di Pannunzio. È seguita poi una generazione che è cresciuta intellettualmente con L’Espresso, quello in grande formato. I risultati si sono visti: intellettuali di ottimo livello, analizzatori profondi dei mali della società, autori di testi ponderosi e basilari.
Chi ha avuto la ventura di nascere nella prima metà degli anni Sessanta ha invece avuto, come primo testo di riferimento, un’enciclopedia: I Quindici. Ne sono sicuro, poiché ho condotto personalmente un’inchiesta tra i miei conoscenti. Agivo così: quando incontravo qualcuno tra i 25 e i 35 anni che, nelle parole o nelle azioni, dimostrava in embrione inconsce idee revisioniste, gli chiedevo subito se da piccolo aveva avuto I Quindici. La risposta è sempre stata sì.
Brevemente, ecco le principali peculiarità dei membri di questa fortunata generazione, così come sono risultate dalla mia inchiesta. Uso la prima persona plurale, poiché anch’io, con molto orgoglio, faccio parte della generazione de I Quindici.
1. Apparteniamo a vari strati sociali. Forse I Quindici sono stati il primo elemento che ha scatenato la reazione livellante che oggi ha portato alla quasi-scomparsa delle classi sociali.
2. Siamo intellettualmente di prima mano. La nostra formazione è nata nella maggior parte dei casi proprio su I Quindici e non su emulazione delle attività e delle mentalità paterne. Questo rende originale la nostra creatività, non copiamo il modo di scrivere, pensare e agire dei colleghi di papà.
3. Abbiamo un’apertura verso l’internazionalità. I Quindici erano sicuramente la traduzione di un’opera americana. Erano pieni di citazioni e allusioni alla cultura e al modo di vita statunitense. Quasi tutti gli intervistati hanno confermato il senso di disorientamento toniokrogeriano da me provato di fronte a quelle immagini di bambini biondi e dagli occhi azzurri. Nessuno si riconosceva nelle storie in cui nostri coetanei mangiavano burro di noccioline o facevano parte di uno dei vari club della scuola. Chiusi negli appartamenti condominiali, in un’epoca che ancora non conosceva l’esplosione delle villette a schiera, guardavamo i ragazzini USA costruire casette per uccelli e porle nel giardino delle loro case. Personalmente, essendo ai tempi ancora perso nelle nebbie catodiche del bianco e nero, mi ha sempre colpito l’immagine di Pico de’ Paperis che appariva in un televisore a colori. Comunque, questa estraneità veniva presto superata e accettata. Una capacità di superamento e accettazione delle differenze che contraddistingue ancora oggi i membri della generazione de I Quindici e che è alla base della nostra inclinazione internazionale.
4. Abbiamo un forte senso del colore. La rilegatura dei 15 volumi era in una tinta neutra, ma ogni volume era contraddistinto da bande che, dall’1 al 15, rappresentavano una fantastica iride raddoppiata. Ognuno degli intervistati ha un preciso ricordo cromatico. Se devo dire che colore ha l’infinito, rispondo: «Il violetto dell’ultimo volume dei Quindici. Profondo e misterioso».
5. Abbiamo una spiccata tendenza alla reminiscenza. Sfogliati in tenera età, quei volumi avevano almeno un’immagine che si è fermata nella nostra memoria. Jacqueline Ceresoli mi ha detto: «Ricordo il disegno di un uomo che volava con uno zaino dotato di retrorazzi. Quella per me è ancora l’immagine del futuro». Ma non erano solo le immagini. Marco Lavagetto ricorda perfettamente l’odore, anzi il profumo che aveva la carta di quella enciclopedia. Insomma, al lettore de I Quindici tutti i sensi si sono aperti insieme.
6. Siamo stati precoci. Chi ha letto il Mondo, prima, e L’Espresso, poi, l’ha fatto dai vent’anni in su, sentendo molto forte il senso di comunione di interessi. Nel nostro caso, la Bildung è iniziata molto prima: non sono rari i casi di membri della generazione de I Quindici che hanno iniziato a leggere a 4 o 5 anni. La nostra formazione si è avviata negli anni Sessanta con questa enciclopedia e si è sviluppata negli anni Settanta lungo una seconda fase che aveva già superato la lettura, sostituendola con la visione (Oggi le Comiche e, in certe regioni, Scacciapensieri sulla TV svizzera). Così, giunti ai vent’anni ricchi di questo bagaglio, non abbiamo avuto più alcuna voglia di dedicarci a esperienze unificanti in cui poterci riconoscere. Il nostro senso di comunione intellettuale è perciò esclusivamente retroattivo ed è stato scoperto solo in seguito.
7. Siamo particolarmente ricettivi di fronte alla rapidità del messaggio iconico. Non facciamo parte della civiltà dell’immagine solo perché qualche sociologo decide di scriverlo sui giornali. Lo siamo perché è nelle nostre radici la capacità di decifrare i pittogrammi, quelli che identificavano l’argomento di ogni volume dell’enciclopedia.  Ricordo un globo stilizzato per il tomo dedicato ai paesi del mondo. Un martello e una sega per il volume in cui si insegnava a realizzare oggetti d’ogni tipo... I membri della generazione de I Quindici si riconoscono poiché all’aeroporto si muovono con sicurezza tra le indicazioni non verbali e pittografiche. Chi non ha letto I Quindici da piccolo, invece, di solito si perde e riconosce a malapena l’omino e la donnina sulle porte delle toilette.

(pubblicato col permesso dell'Autore)